GUERRE è il titolo del progetto per il primo ciclo di mostre ideato e curato da Mudima Lab, e prevede sei mostre personali della durata di circa due mesi ciascuna.
Il progetto GUERRE nasce dalla volontà di dare visibilità ai fotoreporter di guerra che spesso non hanno istituzioni alle spalle e rischiano la vita nelle aree di conflitto contemporanee: il “fil rouge” delle sei mostre é proprio l’intersecarsi delle guerre e delle conseguenti migrazioni di popoli all’interno del bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente, il tentativo di raccontare attraverso gli occhi dei fotografi cause ed effetti di guerre a noi vicine ma troppo spesso considerate un argomento distante, da un mondo occidentale indifferente, se non per le problematiche economiche che ne possano derivare.
Il progetto prevede la presenza di sei fotografi, i primi tre nomi sono quelli di Fabio Bucciarelli (premio Robert Capa 2012, World Press Photo 2013), Diego Ibarra Sànchez e Manu Brabo (premio Pulitzer 2013). I tre oltre ad essere fotoreporter freelance sono anche fondatori di MeMo Coop a Torino, memo-mag.com, alla quale va un ringraziamento particolare per aver creduto nell’idea, e per aver facilitato il contatto e il rapporto con i fotografi coinvolti nel progetto.
La nostra idea, vista l’esperienza pluridecennale all’interno del mondo della cultura della Fondazione Mudima, é proprio quella di portare il fotogiornalismo di guerra in un ambito parallelo ma diverso da quello consueto delle testate giornalistiche, con l’obiettivo di coinvolgere un pubblico sempre più ampio nella comprensione di alcuni temi di certo dolorosi, non semplici, ma che inevitabilmente ci riguardano da vicino e nei confronti dei quali non possiamo rimanere estranei.
Il ciclo delle sei mostre durerà un anno circa, al termine del quale realizzeremo un libro, edito da Fondazione Mudima, che conterrà l’intera esperienza, attraverso testi critici e foto degli autori.

Guerre

Guerre.
Un termine al plurale, un significato plurale, un’unica conseguenza.
Lo scenario di guerra che circonda il Mediterraneo oggi e che comprende anche il Medio Oriente é variegato e quanto più complicato, nel suo divenire e nel suo evolversi continuo fra antiche lacerazioni riaffiorate e nuovi interessi economici globali che, da lontano, controllano la scacchiera internazionale.
Equilibri spezzati e spinte bilaterali fra Occidente e Oriente muovono masse di persone come fossero onde che fluttuano da una parte all’altra e, così come le onde si infrangono a riva, allo stesso modo le persone vengono sospinte verso altre rive, le nostre, nella speranza della vita.
Tutto questo accade quotidianamente, sia che vogliamo o meno soffermarci sulla realtà, essa continua ad accadere anche senza la nostra attenzione.
Si tratta di vite umane, come sempre nelle guerre, ma a noi che stiamo dall’“altra parte” troppo spesso sfugge il concetto di vita o di morte, per una tutela psicologica tendiamo ad abituarci ai numeri che ci vengono forniti fra chi perde la vita oggi o chi vincerà domani continuando ad uccidere.
Siamo di fronte a catastrofi umanitarie alle quali non si può restare indifferenti.
Un piccolo passo che possiamo fare é proprio quello di dedicare un momento della nostra vita ad approfondire ciò che sta davvero accadendo non lontano da noi, ampliando la nostra conoscenza.
I fotoreporter di guerra riportano dai loro viaggi realtà e conoscenza dei fatti, dalla prima linea della guerra o da dietro le quinte, documentando con instancabile precisione la vita e la morte durante i conflitti, e rendendoci testimoni degli scenari politico-economici che si avvicendano.
Questi fotografi ci restituiscono le conseguenze sulle persone e sui popoli, e disegnano con la fotografia una mappa dei cambiamenti storici prima che questi vengano “formalizzati” dalla politica e dall’economia internazionale.

Irene Di Maggio

Dalla parte di chi scatta

La dinamica entro la quale si realizza uno scatto è variabile.
Molto dipende dalla situazione che ci spinge a fotografare, certo è che dal momento in cui mettiamo il nostro occhio a contatto con il “mirino”, non vediamo più nulla intorno a noi: la scena si consuma e vive all’interno di quel riquadro sul quale siamo concentrati. E’ un po’ come stare sott’acqua, tutto quello che accade sopra il livello del mare lo si percepisce come ovattato, mentre con gli occhi cerchiamo di avere ben chiaro quello che riusciamo a scorgere attraverso la maschera.
Gli eventi si moltiplicano, il fotografo deve saper osservare e allo stesso tempo ascoltare, perché tutto si evolve veloce anche alle sue spalle.
La concentrazione è fondamentale e tutto quello che riuscirà a percepire ascoltando gli sarà d’aiuto per prevedere quello che potrebbe susseguirsi di lì a breve.
Tutto ciò vale ancora di più, e allo stesso tempo è determinante, per chi ha scelto di fotografare in zone di conflitto. Un automatismo non semplice, difficile da unire ad una sensibilità personale, talvolta artistica, che chiamiamo comunemente dote naturale.
Da fotografo, sono convinto che la consapevolezza di tutto questo sia fondamentale per poter leggere una foto e darne quindi un giudizio critico.

Fabio Mantegna